Coronavirus, psicosi o pericolo concreto?
Cerchiamo di fare chiarezza, con calma, sull’epidemia che monopolizza il dibattito pubblico
Scaffali vuoti, urla, spintoni, carrelli stracolmi di generi di prima necessità: questo il quadro che si è visto negli ultimi giorni nei supermercati del Bel Paese. Era da quasi trent’anni, dallo spauracchio della guerra del Golfo (tra la coalizione ONU capeggiata dagli USA e l’Iraq di Saddam Hussein), che non si vedevano scene di panico collettivo nei market di questa portata.
Siamo di fronte al collasso della società occidentale per come la conosciamo, a causa di un virus cinese (possibilmente creato in laboratorio appositamente per tale scopo)? La risposta dovrebbe essere un secco No, ma non tutti i nostri connazionali sono d’accordo. Vediamo, in primis, di capire il perchè.
Le motivazioni principali che spiegano questa ondata di caos emotivo e ipocondriaco si possono così sintetizzare:
- Scarsa chiarezza delle misure preventive: Alla dovizia nei particolari inclusi nei formulari governativi e riproposti a livello regionale e locale insieme a ordinanze di vario tipo (che prevedono quarantene, limitazioni della circolazione, di assembramenti in luoghi pubblici, fino a veri e propri “coprifuoco”), non corrisponde una chiarificazione esplicita dello scopo delle stesse: evitare un contagio su larga scala, difficilmente gestibile dagli ospedali, ma che non ha nulla a che vedere con un alto rischio per tutti i potenziali pazienti coinvolti.
- Speculazione politica: Si sa, la macchina elettorale non si ferma mai. Ciascun leader politico ha ovviamente cercato di portare l’acqua al proprio mulino, proponendo la sua “versione” dei fatti.
- Narrazione “creativa” mediatica: uno dei punti più dolenti per chi scrive e per il ruolo che cerca di svolgere. Nel comprendere perfettamente la logica dell’infotainment (coniugare informazione e intrattenimento, ndr) e la necessità di attirare visual per “portare a casa il pane”, quello che lascia perplessi è vedere il sacro compito dell’informazione oggettiva sacrificato sull’altare di un sensazionalismo che ha decisamente fatto traboccare il vaso. Il discorso vale per la maggioranza della carta stampata (tradizionale e online), quanto per la programmazione televisiva.
- Effetto “gregge”: è quella tendenza psicologica della folla a seguire e uniformarsi agli altri, specialmente nelle situazioni di forte confusione. Tale fenomeno è ovviamente tanto “reale” quanto “virtuale”: i social, sotto questo aspetto, hanno notevolmente incrementato la casistica. La massa è impulsiva, isterica, prende decisioni in base a chi si afferma come leader o (prendendo in prestito un termine più recente) influencer all’interno del gruppo.
Analizzate sommariamente le cause principali di quella che può definirsi una psicosi in piena regola, ben lungi dal voler sottovalutare quella che comunque resta un’epidemia a tutti gli effetti (sottolineando come le indicazioni del governo e degli enti locali vadano prese con la massima serietà), è il momento di fare un po’ di chiarezza sul Coronavirus, facendo una summa di quello che si sa al momento dei potenziali rischi.
Premesso che chi scrive non è un epidemiologo, ma si basa su dati oggettivi frutto di ricerche di settore, che in questa sede analizzeremo nel modo più imparziale possibile.
Iniziamo dalle basi: il 2019-nCoV (così identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) fa parte dell’ampia famiglia dei coronavirus (che indica il nome del ceppo, non del singolo agente patogeno), i quali causano malattie respiratorie che spaziano dal comune raffreddore a patologie più gravi. Il nome deriva dalle punte a forma di corona presenti sulla loro superficie. Il virus emerso di recente, in particolare, è stato scoperto per la prima volta in Cina (come è ormai noto), e si diffonde più facilmente di una comune influenza: un soggetto colpito contagia in media (secondo le prime stime) 2,3 persone contro le 1,3 del malanno stagionale. Questo è principalmente il fattore che spinge alla cautela le autorità, nel tentativo di evitare una crescita dell’epidemia fuori scala.
Altro elemento determinante per le disposizioni di emergenza è il periodo di incubazione (il tempo richiesto affinchè l’agente patogeno renda percepibili i sintomi) piuttosto ampio: da 1 a 14 giorni, rispetto ai 2-4 giorni dell’influenza “classica”, il che richiede un’osservazione molto scrupolosa. Esattamente come la controparte ben nota, la trasmissione può avvenire anche da soggetti asintomatici.
Parlando proprio di sintomi: questi consistono in una febbre dall’esordio graduale, tosse secca e difficoltà respiratorie ingravescenti. Altre eventuali sono l’astenia, la letargia e le vertigini. Si manifesta in modo più grave negli anziani e in forme più “leggere” nei bambini (tenetelo a mente).
Per quanto riguarda prevenzione e trattamento, non esistono al momento un vaccino ed una terapia efficaci, in circa il 5% dei casi si ricorre al supporto ventilatorio (per insufficienze respiratorie). Ma andiamo a toccare il punto nevralgico della questione: quanto davvero uccide il virus? Ebbene, abbiamo il primo riscontro attendibile (basato su 72,314 degli attuali circa 80,000 casi confermati in tutto il mondo). Vediamo le stime del tasso di letalità (numero di decessi / numero di soggetti affetti, espresso in percentuale) in questa tabella per fascia di età:
Il primo dato interessante che salta all’occhio è l’assoluta assenza di casi mortali nella fascia dei bambini fino a 9 anni, con percentuali (molto basse) simili a quelle dell’influenza comune fino ai 49 anni. Dai 50 in poi la percentuale inizia a salire (come è prevedibile) fino a toccare un picco massimo quasi del 15% tra gli ultraottantenni. Percentuali importanti, certo, ma che indicano comunque come la stragrande maggioranza dei pazienti guarisca anche in assenza di terapie consolidate.
Uno sguardo attento è opportuno anche con riguardo allo studio basato sulla correlazione alle patologie pregresse dei soggetti affetti dal coronavirus cinese:
Nella seconda tabella possiamo notare le percentuali del tasso di letalità calcolate tenendo conto di malattie già diagnosticate in precedenza (seguendo l’ordine del riquadro: Patologie cardiovascolari, diabete, malattie respiratorie croniche, ipertensione, cancro, nessuna condizione pregressa). Vediamo come nel caso in cui il paziente non sia affetto da alcun disturbo specifico e contragga l’infezione, le possibilità di guarigione superano il 99%. Nulla che giustifichi una preoccupazione eccessiva, oltre la normale cautela del caso.
In conclusione, possiamo affermare in base ai dati a nostra disposizione che l’epidemia oggetto dell’analisi non ha attualmente risvolti preoccupanti ed è sufficiente non esporre i soggetti più deboli, gli anziani, a rischi inutili e facilmente evitabili con attenzione ordinaria. Le istituzioni stanno affrontando con sforzo adeguato (nonostante qualche carenza, soprattutto a livello informativo) la problematica dell’alta trasmissibilità dell’infezione, meno pericolosa di altri agenti patogeni della stessa famiglia che in passato hanno mietuto molte più vittime. Vale la pena ricordare che il tasso di letalità della SARS (Sindrome respiratoria acuta grave) era prossimo al 10% e quello della MERS (Sindrome respiratoria mediorientale) raggiungeva un decisamente preoccupante 34%.
La calma e l’attenzione non devono lasciare spazio al panico irrazionale che porta a scelte impulsive e imprevedibili. Mente fredda, cuore caldo.
Francesco Romano Risi © Riproduzione riservata.
FONTI:
Pagina Facebook H3 Surgical Team (trasmissibilità, sintomatologia, terapie, prevenzione)
https://www.worldometers.info/coronavirus/coronavirus-age-sex-demographics/ (tasso di letalità per fasce di età e patologie pregresse)
http://weekly.chinacdc.cn/en/article/id/e53946e2-c6c4-41e9-9a9b-fea8db1a8f51 (ricerca pubblicata sul Giornale Epidemiologico Cinese)