Cos’è l’editing? L’editor Ambra Rondinelli ce lo spiega nel dettaglio

Ambra Rondinelli,
foto gentilmente concessa

Il servizio editoriale essenziale per ogni autore

Oggi vi parlo di editing letterario, ne avete mai sentito parlare? L’editing è quel processo grazie al quale uno scritto viene perfezionato prima della sua pubblicazione con casa editrice o in self publishing, eliminando refusi e incoerenze oltre alla correzione ortografica e grammaticale. Letteralmente il suo significato è quello di revisione e correzione di un testo. Come andremo ad approfondire in questo articolo ci sono vari tipi di editing: editing stilistico, editing grafico, editing contenutistico, editing strutturale, editing leggero, editing profondo e ancora la “famosa” correzione di bozze. Ho voluto introdurvi questo argomento con delle piccole pillole, ma sarà l’esperta di editing e consulenza di scrittura Ambra Rondinelli a snocciolare tutti i dubbi su questo processo tanto amato, quanto odiato dagli autori di tutto il mondo. Ambra collabora con scrittori privati e case editrici, aziende, agenzie editoriali e ha un canale YouTube in cui parla di tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura e, da buona editor, ha una sua rubrica a tema editoriale, ovviamente. Per scoprire cosa mi ha raccontato continuate questa lettura, vi assicuro che grazie a questa nuova intervista oggi districheremo molti nodi sull’intricato campo editoriale, con l’aiuto della professionista Ambra Rondinelli.

Benvenuta Ambra, apriamo l’intervista con una delucidazione: chi è l’editor e che cosa fa? Cosa ne pensa di chi si improvvisa editor e correttore di bozze? L’editor è la figura editoriale che si occupa di lavorare con l’autore per revisionare la sua opera, prima che questa venga pubblicata e quindi arrivi al lettore. Se occorre, aiuta e suggerisce all’autore come modificare elementi del testo, ad esempio: la struttura, la forma, i dialoghi, le scene o qualsiasi aspetto non sia coerente ed efficace con il resto del romanzo. Per quel che riguarda gli improvvisati: preferisco specificare innanzitutto che quando parlo di “chi si improvvisa” non intendo chi è agli inizi della sua carriera di editor o correttore, perché tutti abbiamo iniziato in qualche modo, tutti abbiamo cominciato ad approcciarci ai testi senza avere un’esperienza e poi, un romanzo alla volta, l’esperienza l’abbiamo costruita. Per me gli improvvisati sono coloro che trattano l’editing come un hobby, però chiedendo un pagamento. Avere un hobby, un passatempo, è positivo, ma l’hobby non presuppone alcuna responsabilità da parte di chi lo svolge. Una professione, invece, richiede di sentirsi responsabili del proprio lavoro – in questo caso dei testi, degli autori con cui si collabora e del lettore che leggerà il risultato della collaborazione; di abitare un settore con preparazione e consapevolezza; di svolgere il ruolo con scrupolosità, impegno e cura. Stabilito cosa io intenda per “improvvisato”, in realtà questa figura non occupa molto spazio nei miei pensieri. Non mi turba chi si improvvisa perché di solito ha una vita professionale breve, viene eliminato dal sistema. L’improvvisato si riconosce: lavora in modo sciatto e approssimativo. Se questo accade, solitamente gli autori, le agenzie e le case editrici se ne accorgono e smettono di cercarlo.

Alcuni scrittori giurano di poter fare tutto da soli, cosa consiglierebbe loro? Le crepe più evidenti in un manoscritto non editato? Alcuni scrittori giurano di poter fare tutto da soli e magari hanno ragione, la domanda da porsi è: cosa ne vuoi fare del tuo manoscritto? Non tutti i testi hanno bisogno di un editing e alcuni testi possono aver bisogno solo di un editing leggero. Un romanzo che non ha una struttura né una visione, con l’editing non diventa un buon romanzo. Io sconsiglio di fare un editing su un testo chiaramente troppo debole per sperare che diventi sufficiente anche dopo molte revisioni. Un romanzo di partenza molto buono con ogni probabilità andrà incontro a un editing leggero (di solito si tratta di sfoltire qualche parte ripetitiva o inutilmente prolissa) e a una correzione di bozze (la caccia ai piccoli errori di ortografia e distrazione, che sono sempre presenti), ma rimarrà sostanzialmente invariato. La certezza che una revisione, leggera o profonda, è necessaria per i testi che devono essere pubblicati, la possiamo trarre dal fatto che tutti gli editori fanno editing e correzione di bozze alle loro opere. E non perché l’editore si diverta ad allungare i tempi, a pagare professionisti che facciano questo lavoro o a tediare l’autore, ma perché la scrittura è un’occupazione solitaria e per una persona sola è difficile individuare gli errori o le debolezze di qualcosa che lei ha interamente prodotto. Se ci pensiamo, lo scrittore è l’unico responsabile di tutta una serie di attività molto complesse: lui idea la storia, la scrive, la revisiona, la modifica, la corregge e l’approva. È possibile che in tutti questi passaggi non faccia mai un piccolo errore? Non abbia una svista? Non si dilunghi dove avrebbe potuto essere più conciso? Non si perda per strada un dettaglio? Non si contraddica mai, quando magari pagina 10 è stata scritta a settembre di un anno e pagina 230 a luglio dell’anno successivo? Se non sbagliasse mai, l’autore sarebbe un vero supereroe, e i supereroi impeccabili non esistono più neanche al cinema. Parlando degli errori più evidenti, potremmo maltrattare Tolstoj e dire che ogni romanzo imperfetto è imperfetto a modo suo. Non capiterà mai che un romanzo presenti esattamente le stesse identiche debolezze di un altro, e di conseguenza nessun editing può essere perfettamente identico a un altro, ma ci sono alcuni problemi più comuni. Nei romanzi già molto buoni sono di solito quelli citati prima, ovvero ripetizioni, piccole contraddizioni, verbosità. Nei romanzi più acerbi, è probabile che ci sia da intervenire sulla tenuta generale del romanzo, per esempio eliminare o modificare delle scene o puntare a una maggiore coerenza e compattezza della storia. Come detto, ogni romanzo è a sé, così come ogni autore.

La sua opinione sui Ghost Writer? Se vuole può spiegare ai nostri lettori il significato che questo termine assume in editoria. Il ghostwriter è uno scrittore che scrive un testo al posto di qualcun altro non intenzionato (per capacità, tempo o voglia) a farlo personalmente. L’esempio tipico è quello di un personaggio famoso che vuole scrivere un’autobiografia e si affida a un ghostwriter. Il personaggio racconta oralmente la sua storia allo scrittore e quest’ultimo scriverà al posto suo il testo. Il motivo è presto detto: il personaggio famoso – pensiamo a un cantante, uno sportivo, un presentatore televisivo – di lavoro fa altro e non ha le competenze letterarie e grammaticali per scrivere una buona autobiografia, avvincente per il lettore e corretta dal punto di vista dell’italiano, quindi si affida a chi queste competenze ce le ha. Un altro esempio può essere il professionista che vuole scrivere un testo divulgativo o un manuale su un argomento del suo settore: anche in questo caso, il professionista può avere una conoscenza immensa del tema che vuole trattare, ma sa di non avere le competenze o il tempo per scrivere un testo di duecento pagine, e allora delega. Un altro esempio ancora può essere una persona che ha vissuto qualcosa di molto interessante e vorrebbe raccontarlo, ma sente di non essere in grado di trasmettere le sue emozioni e narrare in modo appropriato gli eventi perché arrivino al pubblico, anche in questo caso si può affidare a un ghostwriter. Il lavoro è ovviamente sancito da un contratto, in cui il ghostwriter si impegna a cedere la proprietà dell’opera al committente in cambio di un compenso (che può essere fisso o a royalties, ma più comunemente è un fisso). Ho un’opinione positiva sul ghostwriter e non vedo come potrebbe essere altrimenti. Risponde a un’esigenza editoriale esistente e, se le varie parti sono d’accordo, il risultato è proficuo per tutti.  Piccola puntualizzazione a scanso di equivoci: editor e ghostwriter non sono lo stesso lavoro. Un editor non scrive nulla al posto di nessuno, si confronta con l’autore e suggerisce modifiche, ma la scrittura – anche nella declinazione di riscrittura – rimane un compito dello scrittore.

Da editor, c’è un genere che preferisce editare rispetto ad altri? Le è mai capitato che un’opera da lei editata non abbia ottenuto il successo che secondo lei meritava? Devo probabilmente andare controcorrente, so che molti editor hanno preferenze nette, io sono sempre stata sin da bambina una lettrice onnivora e di conseguenza sono diventata un’editor onnivora. Amo anche i generi spesso bistrattati da chi si sente un lettore forte, come young adult, fantasy e horror. Nella mia esperienza da editor ho editato più spesso i generi prediletti dall’editoria italiana: la narrativa mainstream, i romanzi storici e i gialli. Questi sono stati quelli che professionalmente mi hanno dato più soddisfazioni (proprio perché sono più facilmente assorbibili dal mercato). Comunque amo tutti i generi, per ragioni diverse. Posto che il concetto di “successo” è molto soggettivo, per me può essere un successo anche solo che un libro esista, in quella forma, con quello sguardo sul mondo, capisco che la domanda verte sul successo editoriale inteso come numero di vendite, quindi – per rispondere – sì, mi è capitato spesso che un’opera editata non ottenesse il successo di vendite secondo me meritato. Come mi è accaduto che opere editate e che non avevo trovato particolarmente originali o affascinanti mentre ci lavoravo con l’autore abbiano successivamente venduto più di quanto avrei mai potuto prevedere. È il bello dell’arte in qualsiasi settore, credo. Ci fosse un modo per predire quale opera vende e quale no, gli editori sfornerebbero solo best-seller e invece i fattori che portano un libro a essere amato da tante persone sono imprevedibili, da me e da chiunque.

Parlando della sua personale esperienza, ricorda il momento preciso in cui ha capito che voleva diventare editor? E qual è il percorso ideale per chi come lei vuole fare questo mestiere? C’è una storia che racconto spesso e che è scritta anche sul mio sito: ho sempre saputo che avrei voluto fare per lavoro qualcosa che c’entrasse con le storie e la scrittura, ma non avevo mai voluto scommettere su questa possibilità finché mio padre non mi ha proposto un lavoro a tempo indeterminato in tutt’altro settore, il suo. A quel punto mi sono resa conto che non ero pronta a rinunciare al mio desiderio di lavorare con i libri per niente al mondo: non un lavoro stabile, non un’entrata buona e garantita e neanche la stima di mio padre. Quel momento, in cui ho rifiutato il lavoro, è stato lo spartiacque tra il sognare di occuparmi di scrittura e il trovare, nella pratica, la strada per farlo. Il discorso sul “percorso ideale” per diventare editor è complesso perché non esiste un’unica via standard da seguire: è probabile che se chiedessimo a dieci editor qual è la loro storia, ce ne troveremmo davanti dieci diverse, sia come studi che come esperienze lavorative e modi in cui sono arrivati a fare quello che fanno. Il mio consiglio – oltre alla preparazione in ambito narratologico, di scrittura, grammatica e editing (che è la base) – è quello di iniziare il prima possibile parallelamente dei progetti indipendenti che permettano di comprendere come funziona nell’atto pratico l’editing e il lavoro con la scrittura, i programmi da usare, le capacità complementari da possedere. Acquisire competenze integrative, avere un minimo di esperienza pregressa, anche se da autodidatta, e mostrare intraprendenza e autonomia è spesso ciò che differenzia il curriculum di un candidato dall’altro in fase di selezione. Oltre che permettere alla persona di capire se vorrebbe e sarebbe in grado di aprire prima o poi un’attività sua.

Lo studio di Ambra Rondinelli,
foto gentilmente concessa

Cosa ne pensate dell’editing letterario? A presto readers!

Di Michaela Alfano

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